Brano cinque_ La nemesi dell'Aquila
In caso contrario avrebbe svegliato tutto l’albergo, con le sue urla di dolore. Carlo era completamente nudo e dagli evidenti segni presenti sul collo, poteva essere stato strangolato. Era evidente un legame tra questi due recenti omicidi. Ora diventava tutto ancora più oscuro e complicato. Questa volta, il misterioso assassino non aveva lasciato messaggi o avvisi, la cosa non rendeva il collegamento meno probabile e l’inutile crudeltà, nei due delitti, era molto simile. La morte di un padre e di un figlio, nella stessa città a due giorni di distanza l’uno dall’altro, diventava spiegabile solo se il movente fosse stato identico. «Diamo un’occhiata qui intorno e nel frattempo chiami subito la scientifica. Isoli la stanza e tutto il piano e si faccia dare i nominativi di tutti i clienti che hanno pernottato.» «Voglio nome e cognome di tutti gli inservienti e controlli se manca qualcuno all’appello. Torno in ufficio, ormai, purtroppo, non posso più fare niente di utile qui, a meno che lei, Nardi, a un primo sguardo abbia rilevato qualche anomalia.» L’ispettore era diventato sempre più pallido e insofferente, alla vista della macabra scena. «No, dottore, nulla di particolare... è veramente disgustoso, questo assassino...bisogna assolutamente fermarlo.» Uscii nel giardinetto, mentre il cielo si stava annuvolando. Respirai due grosse boccate d’aria pura e finalmente mi sentii meglio. Meglio andare prima che cominci a piovere. Non è giornata, pensai. In Questura mi aspettava un ingrato compito. Dovevo comunicare ad Andrea della morte del fratello e soprattutto spiegargli il modo in cui lo avevano ucciso. Troppo complicato, cercai ma non riuscii a trovare le parole adatte per farlo. Decisi che era meglio non fargli capire il perché di questo nuovo orribile delitto. Arrivai all’Anticrimine appena in tempo per vedere la Marini che, disperata, cercava di calmarlo e trattenerlo. Era come impazzito, trascinava le gambe, si muoveva in lungo e in largo per la stanza urlando, chiedendo notizie del fratello. Appena mi ebbe nel suo raggio visivo, cominciò a incalzare ad alta voce, con una serie di domande. «È tornato...finalmente, cosa succede? Dov’è Carlo? Come sta?» «Adesso, per cortesia, si segga, dobbiamo parlare, non m’interrompa, per favore,» risposi con tono serioso. Quando fu seduto, aiutato anche da Alessia, ripresi la parola, dosando, bene ogni parola che gli dicevo. «Purtroppo, devo comunicarle che suo fratello Carlo è stato ucciso, nella sua camera, nell’albergo, stanotte…» Come era prevedibile, non riuscii a terminare la frase. La voce inaspettatamente stridula di Andrea inondò la stanza. «Cosa sta dicendo? Mio fratello ucciso e da chi? Come? Oddio no, anche Carlo e mio padre, perché?» In un attimo perse l’autocontrollo che fino a quel momento lo aveva sorretto e gli aveva dato la forza per non esplodere in mille pezzi. Scoppiò a piangere e a singhiozzare, sfogando in un attimo tutta la disperazione che aveva trattenuto. Non potevo e non sapevo rispondergli. Non sarei certamente riuscito a calmarlo, esponendo i fatti come erano avvenuti nella realtà, soprattutto se avessi dovuto raccontargli quello che avevo visto in quella camera d’albergo. «Non posso essere più preciso, purtroppo. Capisco il suo immenso dolore e la sua voglia di sapere, ma le cause della morte non sono ancora ben chiare. Le indagini stabiliranno se esista un collegamento tra l’omicidio di suo padre e quello del signor Carlo. Per questo e altri motivi mi vedo costretto a prendere alcuni, seri, provvedimenti. Desidero che, da oggi, lei e la sua famiglia siate sotto protezione.» Poi mi rivolsi, con tono deciso, alla mia ispettrice. «Alessia, telefoni subito alla stazione dei carabinieri di Varese, in modo che si attivino per inviare subito un’auto di pattuglia sotto casa del signor Camponeschi. Questo almeno fino alla fine della settimana. Ci comporteremo allo stesso modo, inviando una pattuglia anche alla casa di Roma, quella dove abita la moglie del signor Carlo, che potrebbe rischiare di essere uno dei bersagli di questo o questi pazzi sanguinari.» Andrea mi guardò sorpreso e con gli occhi ancora gonfi di pianto chiese, palesemente preoccupato, con un filo di voce, di quale orrenda colpa poteva essersi macchiata la sua famiglia, per aver scatenato questa furia omicida. «Non conosco ancora la risposta, ma insieme alla mia squadra farò tutto il possibile per scoprirlo. Adesso si faccia accompagnare a Varese dai due agenti che la stanno aspettando all’uscita della Questura. Sua moglie verrà sicuramente avvertita del suo arrivo e dell’arrivo della pattuglia di scorta, dal mio solerte ispettore. La terrò informata di quando dovrà tornare a Ferrara per il riconoscimento dei suoi due familiari.» Il signor Camponeschi, lentamente, si alzò dalla sedia e ringraziando tutti, se ne andò mestamente dall’ufficio.
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 16:30 mercoledì 14 maggio 2014
Nonostante la terribile mattinata trascorsa, i miei due aiutanti si stavano prodigando nel noioso compito di guardare gli innumerevoli video arrivati in ufficio. «54, sono ben 54 i video da guardare, accidenti! Non sono riuscito a pranzare anche se, oggi a me, la fame non è certo venuta, non dopo quello che ho visto stamattina,» confidò Nardi. «Taci e guarda bene il monitor, che non ti sfugga qualcosa!» Rimproverò stizzita, la Marini. «Abbiamo la mail con la lista delle consegne postali!» Informò. «Cominciamo a confrontarla con le immagini e speriamo di trovare un collegamento.» «Purtroppo, non sembra risultare nessuna consegna da Ferrara centrale a Quartesana, nel periodo di tempo che ci interessa. È molto strano ma è così,» replicò Nardi. Riguardai la lista e il monitor più volte, ma non emerse nulla di utile per la nostra indagine. Poi d’un tratto, un dubbio s’insinuò, prepotente. Se il sedicente postino fosse partito da Cona, avrebbe portato prima la minacciosa lettera ai carabinieri e poi fosse andato a Quartesana a compiere il delitto? Questa nuova ipotesi dava origine a due ben precisi ragionamenti. Il primo portava a pensare che il postino fosse veramente tale e il secondo che la Bolchi abbia visto veramente l’assassino. «Carabinieri stazione di Cona, buonasera,» rispose la voce maschile di un militare. «Buonasera, sono il vicequestore Ferrari, vorrei parlare con il comandante, grazie. «Subito, dottore.» «Buonasera, dottor Ferrari, qual è il problema?» Domandò il maresciallo Bergelli «Ricorderà, sicuramente, la terribile lettera di minacce di morte che avete trovato nella posta questo lunedì mattina.» «Certamente, cosa mi voleva chiedere in merito?» «Avete disponibili i filmati della telecamera, all’ingresso della caserma, di venerdì e sabato scorsi?» «Ovviamente sì, se lo ritiene necessario.» «Bene, avrei anche un’altra richiesta. Come mai la posta di venerdì e sabato è stata vista solo al lunedì mattina?» «Sono due domande a cui posso sicuramente rispondere, caro Ferrari. Abbiamo i filmati e li avremo in giornata. La posta, del fine settimana, viene sempre aperta il lunedì, in quanto le notizie importanti e urgenti arrivano per e-mail o per radio, mai per posta, quindi possono attendere l’apertura, come al solito, all’inizio della settimana. Adesso la saluto, perché ho ancora alcune cose da sistemare prima di sera. A presto dottor Ferrari.» «A risentirci, comandante Bergelli.» La telefonata s’interruppe un po’ troppo bruscamente per i miei gusti. Qualche richiesta doveva avergli dato fastidio, evidentemente. Mi alzai dolorante dalla sedia della scrivania. Ero stato troppo tempo seduto a fissare il monitor. La lunga seduta mi aveva intorpidito i muscoli delle gambe e della schiena. Finalmente chiusi la porta alle mie spalle, scesi le larghe scale, uscii dalla Questura e respirai a pieni polmoni l’aria frizzantina della sera, incamminandomi verso casa.
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