Brano sei_ La nemesi dell'Aquila


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TRATTO DAL LIBRO
 "LA NEMESI DELL'AQUILA"

Ferrara era splendida, romantica, femminile e come una donna, ogni giorno più bella. Non mi stancavo mai di guardarla, di viverla. La osservavo sprigionare la sua storia, i suoi famosi personaggi che emergevano prepotenti da ogni palazzo, da ogni vicolo, da ogni antica pietra che ogni sera calpestavo mentre camminavo lentamente verso casa, dopo il lavoro. Ricordo ancora la prima volta che ebbi l’occasione di transitarle accanto. Avevo solo 14 anni. Era la calda estate del 1980, una delle tante, belle mattine di quel luglio. Da Modena, la mia città natale, stavo andando, con amici dei miei genitori, al mare in Romagna. Ero seduto comodamente, nel retro di una vecchia Opel e quasi per caso, guardando fuori dal finestrino aperto, vidi le alte mura che cingevano la città estense. Senza preavviso, mi arrivò forte e chiara una premonizione. Sapevo, in cuor mio che si sarebbe avverata, e lo ribadii, con voce alta, senza esitare: «Io verrò a vivere in questa città, ne sono certo!» E così accadde. Alla prima occasione chiesi il trasferimento da Milano a Ferrara dove da cinque anni sono a capo della nuova Squadra Anticrimine. Conobbi Emma, mia moglie, 18 anni fa, una sera d’autunno del 1991. Un vicino aveva telefonato, preoccupato, alla polizia per una furiosa lite al n. 125 di via Belfiore a Milano. Con l’auto di servizio, io e altri due colleghi eravamo, casualmente, di pattuglia nei pressi dell’abitazione segnalata. Avvertiti dalla centrale del problema, ci dirigemmo all’indirizzo che ci era stato comunicato. Scendemmo dall’auto e ci dirigemmo alla bella villetta su due piani, da cui giungevano, attraverso la finestra semi aperta, forti rumori di mobili spostati e le urla di una donna. Iniziammo a correre verso la porta d’ingresso. Bussai violentemente, intimando un secco ordine, con voce potente: «Polizia, aprite la porta, presto.» Immediatamente i rumori e le urla s’interruppero, lasciando il posto a un soffocato grido d’aiuto femminile. Alla porta comparve una bellissima donna, visibilmente scossa e terrorizzata. Notai subito il grosso livido rossastro sulla guancia sinistra, molto evidente sulla pelle chiara di quel viso, contrastato e incorniciato da lunghi capelli neri, inevitabilmente in disordine. «Vi prego aiutatemi,» implorò con un filo di voce. «Non si preoccupi, signorina, siamo pronti a farlo!» Cercai di tranquillizzarla, sorreggendola da un braccio. L’uomo, presente nella stanza, con un atteggiamento arrogante, volle precisare: «Signora, prego, è una signora, io sono il marito.» Mentre lo diceva si accese una sigaretta e sprofondò nell’enorme poltrona che si trovava inspiegabilmente al centro della sala. Continuò ironico: «a cosa devo l’onore di una vostra visita?» Chiese, sarcasticamente, il giovane uomo, paonazzo in viso. «L’intervento è stato richiesto da un vicino, disturbato e spaventato dalle urla e dal rumore di mobilio rotto,» risposi guardandolo dritto negli occhi e continuai, precisando: «da quello che si può vedere, affermerei che la sua preoccupazione era del tutto fondata. Forse anche lei dovrebbe cominciare a preoccuparsi di questo disastro,» conclusi. Guardandomi un po’ intorno notai che nell’appartamento tutto era in disordine, come se fosse passato, nella stanza, un piccolo tornado. Cocci, pezzi di vetro e carte varie erano disseminati sul pavimento. Era evidente che quasi tutti i mobili erano stati spostati dalla loro sede naturale. Un piccolo tavolo era stato ribaltato. Il telefono senza fili, sul quale sicuramente era solito stare, aveva terminato la sua corsa nell’angolo opposto. La giovane donna non parlava, spaventata dal minaccioso atteggiamento del marito. Aveva la camicetta stropicciata e si teneva il fianco con la mano. Qualche volta storceva appena la bocca, in una lieve smorfia di dolore. Cercava di non farsi notare troppo dal compagno, nonostante soffrisse per le percosse ricevute, probabilmente temeva ritorsioni future dal nervoso coniuge. Iniziai, con un tono di voce piuttosto alto. «Sono tenuto, come lei forse saprà, a fare rapporto su quanto è accaduto. Vuole fare la sua dichiarazione, signor…?» «Piero Zocchi, ma non ho nulla da dichiarare, si è trattato di una semplice e innocua discussione famigliare, tutto qua!» Continuò a fumare seduto e irriverente come nulla fosse accaduto. Ripresi a fare domande, modificando il mio tono di voce a un livello più basso e più gentile. «Chiedo a lei, signora. Anche lei dichiara che si è trattato di una semplice discussione?» Mi guardò con occhi imploranti. «La prego, non so cosa dire, mi lasci in pace.» Chiaramente la donna era troppo impaurita e sotto shock, quindi decisi che non era il caso di insistere ulteriormente. Le porsi un biglietto da visita. «Sono l’ispettore capo Ferrari, questo è un numero di telefono che può chiamare quando vuole, per parlare con me. Adesso vada a riposare e si rilassi, vedrà che poi ricorderà meglio tutto quanto.» Mi avvicinai, in modo deciso, all’uomo che mi stava squadrando sospettoso e visibilmente contrariato. «Vada a dormire anche lei, meglio se in un letto diverso da quello di sua moglie, almeno per questa notte. Deve calmarsi e smaltire l’alcool che ha in corpo. Domani con calma, rimetterà tutto a posto e chiarirà con lei, sperando che la ragione abbia la meglio sulla rabbia, che ora la rende molto confuso.» «Per maggiore sicurezza, nel mio rapporto, farò presente quello che abbiamo sentito e visto arrivando in questa casa. Una piccola mossa preventiva, onde evitare il ripetersi di un’altra spiacevole brutta lite. A questo punto non mi resta che salutarvi e darvi la buonanotte.» Conclusi velocemente la visita e la bozza del mio rapporto, mi diressi all’uscita della villetta insieme ai miei colleghi, salimmo in auto commentando l’accaduto, fino alla centrale di polizia. Il giorno dopo, la donna del mio destino venne a cercarmi in ufficio. Sporse denuncia contro il marito, che la picchiava e maltrattava da parecchio tempo. Mi confidò inoltre che lui era il rampollo di un’importante, antica e blasonata famiglia ebrea di Milano. Per questo motivo, ogni mossa di lei, per liberarsi di quell’uomo sbagliato, sarebbe stata bloccata e interdetta alla nascita. Potere e denaro non si sposano, quasi mai, con il termine giustizia. Aveva comunque trovato il coraggio di farlo, anche per merito del mio atteggiamento protettivo nei suoi confronti. Aveva avuto fiducia e si sentiva pronta a lottare. Da quel momento cominciammo a frequentarci e non ci saremmo più allontanati.

Casa Ferrari

Ore 19:30 mercoledì 14 maggio 2014

Chiara, mia figlia, era assente, non era ancora tornata dall’allenamento di pallavolo, una disciplina sportiva che lei amava tantissimo e che praticava assiduamente, con ottimi risultati. L’impegno era pesante per una ragazzina di 17 anni. Poi c’era il grande segreto! Una sua ipotetica relazione sentimentale, la prima. Io non avrei dovuto saperlo. Sua madre me lo aveva confidato, facendomi promettere, sulla mia vita, di non rivelare mai a nessuno la sua delazione. «Sembra che un misterioso bel ragazzo frequenti la nostra bambina!» Ieri, con voce bassissima, quasi balbettando, Emma lo confessò, pentendosene mentre lo diceva. Che gusto sarebbe, potermi concedere, anche solo per poco tempo, d’indagare sulle scappatelle giovanili di Chiara! Il suono del campanello mi riportò alla realtà, la mia bimba era tornata, per me e per tutti i papà del mondo, sempre troppo tardi! Emma si diresse verso la porta d’ingresso, girò la maniglia, senza chiedere chi fosse e un ragazzo, alto, moro e con una leggera felpa di cotone, color rosso scuro, le si presentò di fronte. «Buonasera, cercavo Chiara.» «Buonasera,» rispose Emma, sorpresa dall’inattesa visita serale. «No, non è ancora tornata, con chi ho il piacere?» «Sono Davide, un amico, speravo fosse già rincasata.»



 

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