Brano diciassette_ La nemesi dell'Aquila


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TRATTO DAL LIBRO
 "LA NEMESI DELL'AQUILA"

Credo non si sia accorto della mia presenza, gli alberi e le auto parcheggiate mi nascondevano alla sua vista. Forse avrei fatto bene a rimanere un altro po’, magari avrei potuto vedere se entrava in qualche portone o cancello delle case lì intorno.» «Grazie, è stata molto utile, stia sempre attenta a tutto, come ha fatto questa volta. Comportarsi in questo modo la porterà sicuramente in alto, auguri e buon lavoro.» La vigilessa scattò in piedi come una molla, contenta dei miei apprezzamenti, salutò e si diresse verso l’uscita dell’ufficio. Estrassi il cellulare dalla tasca interna della giacca. Premetti contatti, Lombardi, ancora contatto, tre squilli: «Buongiorno, mi scusi se la disturbo a quest’ora.» Poi senza dargli il tempo di rispondere, lo incalzai: «Devo togliermi subito un dubbio dalla testa. Ha presente la chiesa di San Domenico a Ferrara? L’entrata laterale, al n. 10 da piazza Sacrati, oggi è chiusa e recintata per il sisma del 2012. Cosa posso sapere, io povero ignorante, di questo posto? Lo chiedo a lei perché sono sicuro che lei sa di cosa sto parlando.» «Caro Leone, proprio in questo momento stavo cercando di completare la relazione, comprendente, anche, le scoperte fatte nella nostra visita all’Archivio di Stato. Avrei pensato di portarla domani pomeriggio, alla sua attenzione, per poi discuterla insieme. Stamani ho avuto tre ore di lezione a Padova, rientrato a casa, avrei voluto completare il mio lavoro di ricerca. È così urgente la domanda che mi ha appena fatto? Preferirei rispondere al suo quesito domani, quando ci vedremo.» «È urgentissimo, non c’è tempo da perdere, se la mia ipotesi fosse confermata, potremmo avere trovato il nascondiglio di Maggi. Questo, caro professore, dipende dalla risposta che mi darà, ora.» «Va bene, un attimo che cerco tra i miei appunti, nel computer...passarono alcuni minuti... ecco, ho trovato.» Leggo: «la facciata della chiesa San Domenico si trova in via degli Spadari, una laterale di viale Cavour, all’altezza delle Poste centrali. Nella fiancata sud della chiesa, che dà sul parcheggio, si trova l’ingresso che un tempo era l’oratorio di Santa Croce. Si trova in piazza Sacrati 10. Era l’antica sede del tribunale e delle prigioni della Santa Inquisizione. Ogni città aveva la propria chiesa dedicata e a Ferrara vi era la Chiesa di San Domenico. Le esecuzioni avvenivano nella piazza di fronte alla facciata.» «È come pensavo! È il posto perfetto per nascondersi. Coincide con il pensiero di questa gente malata e con il periodo storico che stanno rivivendo. La zona in questione è esente da curiosi, essendo vietato avvicinarsi, ed essendo tutta recintata. Probabilmente qualcuno, il nostro sospettato in particolare, potrebbe entrare da qualche ingresso laterale ai vari recinti. Dalle mappe vedo che, alla fine di una recinzione, c’è un cancello automatico che immette in un cortile dal quale si accede all’oratorio della chiesa. Certo, il posto dove potrebbe nascondersi è decisamente pericoloso. La possibilità di crolli è costante, ma questo personaggio ha il pelo sullo stomaco e non si è fatto certo intimorire da un po’ di pietre, che potrebbero crollargli in testa. «Grazie, prof, per le informazioni, ora raduno la squadra e vado a prenderlo. Ci si vede domani. È inutile che glielo dica, starò molto attento, la chiesa ha subito parecchi danni dal terremoto. Ho saputo che la cupola e alcuni muri portanti sono messi molto male. In caso di trambusto, per la cattura, potrebbero verificarsi piccoli crolli.» Conclusi la telefonata, salutando in fretta e furia. «Alessia, chiami Nardi, che raduni di nuovo la squadra Anticrimine, si ritorna a piazza Sacrati, questa volta sarò presente anch’io. Ho avuto conferma dal professor Lombardi che il nostro uomo può essersi rifugiato proprio lì. Appuntamento al parcheggio della polizia fra venti minuti. Avvisi il questore dell’operazione. Si premunisca di farci avere i mandati di perquisizione e d’irruzione nella parte sud della chiesa di San Domenico al numero civico 10 e 10A. Mi servirà una copia dei permessi per e-mail. Noi andiamo, mi faccia gli auguri e noi faremo gli scongiuri che tutto vada bene.» All’ora prefissata, con i ragazzi della squadra salimmo sulle auto di servizio e senza usare le sirene raggiungemmo la nostra meta. Era ora di pranzo, il traffico era scarso, la gente era impegnata a soddisfare palato e stomaco brontolante. Questa situazione veniva a nostro vantaggio. Arrivammo all’antico oratorio senza essere particolarmente notati. Cercammo, all’inizio senza successo, una possibile apertura nella recinzione. Trascorsi una decina di minuti, osservando bene com’era chiuso uno dei recinti, quello all’altezza del lampione davanti al civico 12, notammo che la base del palo che ospitava la fine del reticolo era spostabile verso la strada. Avevamo trovato il possibile passaggio verso la porta dell’oratorio. Lo spazio disponibile tra la rete e il muro permetteva di avanzare, verso la chiesa, a una sola persona alla volta. Quindi ci muovemmo silenziosamente, in fila indiana, sfregando spesso, con la schiena, il vecchio muro. Arrivato, per primo, davanti al n. 10, lentamente provai a spingere con la mano l’antica porta di legno impolverata, sperando di non dover usare un ariete per aprirla. Fortunatamente si aprì senza difficoltà, confermando, ancora di più, la mia teoria sul fatto che fosse l’attuale nascondiglio del nostro assassino. «Polizia, stiamo entrando nell’edificio!» La voce echeggiò nell’atrio. Percorremmo rapidamente un corto corridoio che ci portò in un’ampia, polverosa, stanza dai soffitti decorati. Quasi al centro, un lungo tavolo di legno, rettangolare. Quasi all’angolo del lato lungo, c’era un corpo. Riverso, immobile sul ripiano, con una mano abbandonata sul fianco sinistro e con l’altra mano appoggiata su quello che sembrava, dalla mia confusa e distante visuale, un foglio di carta. Immaginai, subito, che si potesse trattare di Maggi. Il sospetto divenne una certezza avvicinandomi per scoprire il volto dell’uomo: «Accidenti, è proprio lui. Nardi faccia venire un’ambulanza e avverta il medico legale e la scientifica, c’è ancora del lavoro da fare!» Ordinai, innervosito dall’ennesimo cadavere trovato. Notai che sul pavimento di pietra, vicino alla sedia, c’era una bottiglietta vuota, una di quelle che contengono un liquore monodose, molto apprezzate tanti anni fa e oggi quasi sparite dalla circolazione. Ero sicuro che non contenesse solo Brandy italiano, della marca indicata dall’etichetta, ma forse, ipotizzai, anche un potente veleno. Maggi si era avvelenato, lo si poteva dedurre anche dal filo di bava che gli usciva dalla bocca semiaperta. Impugnando con due dita un fazzoletto di carta, spostai di lato la sua mano inerte, potendo così guardare meglio il foglio su cui si posava. Vi era uno strano disegno e due frasi, scritte con un grosso pennarello rosso che, lasciato senza il cappuccio, era ancora sul tavolo. La figura si componeva di due triangoli isosceli con la base in comune e da questa una retta, come a formare una lunga coda. Una forma molto simile a un aquilone. Le ali erano i due triangoli e la retta sembrava la corda che lo tratteneva in volo. Sotto questa, apparentemente geometrica figura, erano presenti due frasi misteriose che rivolgevano accuse e minacce a persone sconosciute.
“Nel nome di questa hanno ucciso.”
“Per la fede in questa moriranno tutti.”
Un paio di considerazioni, in merito all’accaduto, erano necessarie. La prima: dovevamo affrontare gente decisamente invasata, disposta a morire piuttosto che a farsi catturare. La seconda: ancora una volta qualcuno aveva avvisato Maggi del nostro arrivo.


 

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