Brano quattordici_ La nemesi dell'Aquila
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TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
Preso dalla lettura non mi accorsi che Alessia stava aspettando, pazientemente, di consegnarmi una vistosa busta gialla per documenti. «Sono le foto del delitto, di questa mattina,» mi informò, anticipandomi ancora una volta. Mi avvicinai, presi la busta che la Marini mi porgeva ed estrassi il pacchetto di foto. Le sfogliai e ne scelsi una da collocare sulla lavagna magnetica dove si trovavano le altre foto dei delitti precedenti. La posizionai all’estrema destra della lavagna con una piccola calamita di colore giallo. Lo giudicai un gesto scaramantico, quasi a prevenire ulteriori guai, non lasciando spazio per altre fotografie. Rimasi per parecchio tempo a guardare la lavagna, con quelle linee che si intersecavano tra le fotografie, in più punti. Alla fine, la stessa solita domanda, ancora senza risposta: Perché? Fondamentale era scoprire quale fosse il comune denominatore dei tre delitti.
CAPITOLO CINQUE
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 09:50 martedì 20 maggio 2014
Nonostante tutto, indifferente a quello che capitava sulla terra, il sole di maggio continuava a splendere e i caldi raggi attraversavano i vetri della finestra che dava su Ercole I d’Este, riflettendosi sulla mia fronte. Questa sensazione di leggero calore e questo riflesso m’innervosivano un po’ mentre aspettavo il professore. Il mandato che il P.M. mi aveva recapitato un’ora fa, come da accordi presi, avrebbe permesso di accedere ai documenti segreti e originali degli estensi, digitalizzati negli archivi modenesi. Lombardi arrivò puntuale, come sempre, alle dieci in punto. Partimmo subito per Modena. Decisi, nel parcheggio, all’ultimo minuto, che avremmo usato per il viaggio la mia auto personale e non quella di servizio. Avevo voglia di guidarla, di sentire il profumo degli interni in pelle e quell’odore di nuovo, che purtroppo dura così poco. Gli impegni di lavoro non mi permettevano di godere del mio nuovo acquisto e i brevi tratti di percorrenza non lenivano la mia voglia di sentire il potente motore, ruggire alla pressione sull’acceleratore. «Al diavolo i soldi, professore, oggi usiamo la mia auto!» Indicai un Audi 4x4 blu. «Proprio una bella macchina, Leone, proprio una bella macchina,» ripeté ammirato il Lombardi. «Spero però che non sia uno di quei piloti un po’ troppo audaci, quelli che frenano all’ultimo secondo, dietro le auto, quasi a tamponarle. Soffro di stomaco, chiedo una cortesia, non lo faccia!» «Non si preoccupi, sono un pilota esperto e giudizioso, ci godremo insieme un bel viaggio fino alla mia città natale.» «Ah, che sorpresa, un modenese puro sangue!» Sottolineò il professore. «Da generazioni,» precisai orgoglioso. Il viaggio durò meno di un’ora, ma in quei 75 km, il prof mi raccontò quasi tutta la sua vita. Scoprivo un altro uomo da quello che poteva apparire ad un primo contatto. Serioso, preciso, anche un po’ indisponente nell’ostentare la sua cultura e la sua istruzione. In realtà un uomo desideroso di stare in compagnia, di parlare, di discutere e anche d’incaponirsi sui fatti della vita quotidiana e le storie che non riguardassero solamente le sue consolidate conoscenze storiche. Ci dirigemmo verso l’Archivio di Stato di Modena che si trovava nel cuore del centro storico, a pochi passi dal Duomo. Com’era prevedibile, appena superammo la linea della zona Z.T.L., un solerte vigile urbano ci fermò, alzando la mano, indispettito. «Alt, non si può entrare in centro, favorisca i documenti.» «Buongiorno, devo raggiungere l’Archivio in Corso Cavour, 21. Sono il vicequestore di Ferrara, dottor Ferrari. Questa è la tessera, ho un mandato per visionare alcuni importanti documenti, che riguardano tre casi di omicidio! Avrei anche una certa fretta, se può indicarmi la via più veloce, le sarei veramente grato.» Il vigile guardò il documento che gli porsi e, immediatamente, mi diede le informazioni che gli avevo richiesto. Ringraziai e mi diressi verso il mio punto di arrivo. Parcheggiai l’auto proprio davanti a uno splendido palazzo, riconoscibile, come nostra meta, dalla grande scritta “Archivio di Stato”, che faceva bella mostra di sé al di sopra di un’ampia e lunga loggia. Un’alta porta-finestra centrale rendeva accessibile la balconata, situata sul portone d’ingresso dell’edificio. «Tardo Settecento, costruito su un convento domenicano del Duecento,» m’informò Lombardi. «Il fatto è curioso,» proseguì il professore «la coincidenza con il nostro caso è reale. L’edificio fu ampliato congiungendo, anche, il locale del tribunale dell’inquisizione, di cui l’Archivio conserva tutti i rari documenti.» All’entrata trovammo ad aspettarci la dottoressa Zanchi, che doveva assisterci nella nostra ricerca. Le feci vedere, subito, il mandato, sempre necessario per poter accedere ai documenti segretati. «Seguitemi, andiamo nella Sala di studio. Oggi, solo per quest’occasione particolare, è stata chiusa al pubblico. Lì potremo consultare digitalmente tutti gli archivi e volendo potremo anche entrare nei documenti della biblioteca estense universitaria.» Appena giunti nell’antica e affrescata sala, lei ci fece accomodare a un ampio tavolo, allestito per l’occasione, con due monitor da 24 pollici e relative tastiere che erano collegati con un terzo, più grande da 32 pollici. Quella sarebbe stata la postazione centrale, gestita dalla Zanchi. Da quella postazione avrebbe potuto dare risposta alle nostre richieste. Iniziò a parlare Lombardi, specificando che il periodo che ci interessava era quello relativo alla reggenza del duca Alfonso II d’Este e che il documento che ci interessava trovare era composto da tre fogli. Lo scrivano e/o notaio, forse possibile testimone che l’aveva redatto, era Vincenzo Maggi. Nel documento compariva, oltre al duca, anche il nome di Michel de Nostredame, detto Nostradamus. La dottoressa cominciò a comporre sulla tastiera le informazioni che aveva ricevuto e rapidamente il potente computer elaborò i dati, li comparò e comparvero su tutti e tre i monitor i documenti originali. Scartai il primo e il terzo foglio, li avevo già letti e riletti, più e più volte. Ingrandii a 200 il foglio centrale, sicuro che anche Lombardi lo avesse già fatto. La sua imprecazione anticipò di una frazione di secondo la mia: «Impossibile si tratti di lui, inaccettabile, non può essere vero!» «Sono veramente sorpresa!» Queste ultime, furono le parole che uscirono dalla Zanchi.
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