Brano venti_ La nemesi dell'Aquila

 




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TRATTO DAL LIBRO
 "LA NEMESI DELL'AQUILA"

A questo punto, il falso indizio dei fiaschi rubati al Camponeschi, il suicidio e il disegno trovato per farci scoprire la costellazione dell’Aquila sembravano frutto di un piano ben congegnato. Mi convinsi che, forse, anche la solerte vigilessa Gerelli, che vide, la sera prima, Antonio Maggi discutere con una donna, fosse solo un'ignara pedina nel gioco pensato dagli assassini. Dopo aver richiuso tutti i fascicoli, mi diressi verso la lavagna magnetica, per aggiornarla. Precedentemente avevo fissato, con magneti di colore diverso, le foto delle tre vittime. Con un pennarello rosso avevo tracciato una linea, che collegava, a questo punto delle indagini, tutte le tre immagini nel lato basso dei ritratti. Sotto ogni foto, con un pennarello nero a punta fine, aggiornai le note salienti, riferite a ogni singolo personaggio. All’apice della curva di collegamento, scrissi la parola “vendetta” sempre in rosso. Più sotto fissai, sempre col magnete, la foto di Antonio Maggi, posizionata sopra un grosso punto interrogativo, con una scritta blu alla sua destra, “Congrega dell’Aquila”.

Appartamento in via Arianuova (Fe)
Ore 16:35 venerdì 23 maggio 2014

Il cellulare squillò ripetutamente, un numero di volte preciso, stabilito, prima che l’uomo rispondesse. «Pronto? Dimmi.» Una voce decisa ma emozionata cominciò a parlare, scandendo lentamente le parole. «Salve, primogenito di Altair, sono felice di sentirti, iniziamo a sentire la tua mancanza qui a Ferrara.» «Ti ringrazio, che notizie mi porti, figlio dell’Aquila?» «Hanno finalmente scoperto un collegamento tra Dante e gli altri personaggi. Ormai dovrebbero anche aver capito che la nostra è una terribile vendetta che colpirà, senza pietà, la discendenza delle madri che generarono i nostri più acerrimi persecutori.» L’uomo la interruppe. La sua voce rotta dalla rabbia e dall’odio covato da sempre esplose in un infervorato proclama. «Giustizia è stata fatta, compiuta, finalmente, dopo secoli. I nostri antichi fratelli della Congrega possono riposare in pace. Sono stati vendicati. Dimmi altro...» «Sembra che il professor Lombardi abbia scoperto dove potrebbe trovarsi il nascondiglio segreto. Pare che lui e Ferrari lo andranno a cercare alle “Corti”. Dobbiamo essere pronti ad agire se…» «Siamo tutti pronti, il mio piano sta funzionando perfettamente e le nostre prossime mosse sono già state studiate. Tieni occhi e orecchie aperte, siamo in dirittura di arrivo!»
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 14:35 lunedì 26 maggio 2014
«Sono arrivati i documenti, finalmente, stampo subito il mandato e glielo consegno,» m’informò la Marini. «Era tempo, se tardavano ancora un po’ avrei dovuto richiamare il P.M., scusarmi e chiedere di sveltire la mia pratica. Odio ripetermi e chiedere favori. Rischiavo di apparire il solito rompiballe che non sa rispettare i tempi tecnici necessari. Scommetto che il professore arriverà a minuti, ormai conosco la sua puntualità. Visto il ritardato arrivo del mandato per le “Corti”, stavo cominciando a disperare di poter partire all’ora convenuta con lui.» Infatti, alle 15:00, con la precisione di un orologio svizzero, il faccione sorridente di Samuele Lombardi comparve sulla porta. Cinquantotto anni e dimostrarli tutti. Sovrappeso, come tutti quelli che non fanno sport, mai, e stanno più seduti a leggere e al computer che su due piedi. Una bella e curata barba bianca, non tutta completamente candida, nemmeno troppo lunga, come i capelli grigio topo. Eccolo, in poche parole, il mio attuale compagno di indagini. «Andiamo, professore?» «Andiamo, Leone, ci dirigiamo al parcheggio?» «Sarebbe meglio fare due passi a piedi, cosa ne dice?» Replicai. «Hai ragione, si va!» Presi la cartella con il mandato e le mappe delle sale Estensi che mi ero fatto mandare. Salutai Alessia e appoggiai una mano sulla spalla del Lombardi. «Possiamo andare, Samuele.» lo esortai, amichevolmente. Il professore, appena scendemmo in strada, iniziò a spiegarmi la storia delle “Corti” e continuò a farlo fino a quando entrammo nella zona medesima. “Il Castel Vecchio”, iniziò, «nel tardo Medioevo nacque come una fortezza, successivamente divenne una caserma, poi una prigione, poi una specie di grande magazzino. A partire dal Quattrocento divenne la sede degli appartamenti privati dei vari duchi. Tutte queste trasformazioni hanno reso, oggi, molto difficile ricostruire l’aspetto interno del Castello, soprattutto di come appariva nel periodo rinascimentale. Gli studi e i documenti che ho consultato, però, mi hanno confermato che una delle stanze che aveva subito meno modifiche nel corso dei secoli era quella, cosiddetta, di rappresentanza. Quella dove stiamo andando ora,» concluse fiero della sua scoperta. Entrammo in un’ampia sala, ma forse era meglio dire in uno splendido locale pieno di storia, dove i grandi quadri, appesi alle pareti, ritraevano personaggi importanti, che testimoniano i fasti e la grandezza del Ducato estense. Un lunghissimo e ampio tavolo in legno, decorato a mano. Dieci alti scranni, ugualmente decorati, con schienali in prezioso tessuto color magenta, come le sedute stesse, erano disposti in due file da cinque, per ogni lato lungo del tavolo. Ai quattro angoli della stanza, quattro grandi otri color grigio e nero con disegni in oro zecchino, tutti dotati di coperchio anch’esso a intarsi dorati. «Se esiste veramente un nascondiglio, può essere solo qui. Come potrai notare dalla polvere che si è depositata su tutto il mobilio, questa sala non viene aperta al pubblico da quasi un anno, almeno così mi hanno riferito!» Cominciai a guardarmi intorno, attentamente, ma non vidi nulla che mi colpisse così tanto da percepire quella cosa strana che si sente nella bocca dello stomaco, quella particolare sensazione che dà inizio a tutte le geniali intuizioni. Decisi di cominciare con la ricerca più ovvia, che consisteva nell’ispezionare i quadri alle pareti, con un occhio di riguardo per i ritratti di Enrico I e di sua moglie. Erano tutti ben saldi e pesanti anche solo da spostare lungo il muro, per cui rinunciai subito a quell’azione. Insieme a Samuele percorsi in lungo e in largo la sala cercando, magari, una mattonella con un disegno strano o diverso dalle altre. Erano tutte identiche, di cotto rosso quadrate, 50x50. Ispezionammo tutti i mobili, aprimmo tutti i cassetti e i cassettoni. Quindi passammo al setaccio tutti i soprammobili antichi, sfiorandoli, spostandosi, scambiandoli l'uno con l’altro, fino a sentirci stanchi, senza trovare nulla. «Eppure doveva essere qui, ci avrei giurato!» Ribadì convinto, il Lombardi. «Spero lei abbia ragione, ormai sono due ore che cerchiamo!» Sbuffai, un po’ deluso. Erano rimasti gli otri. Sembravano troppo in vista per essere il nostro agognato nascondiglio, comunque provammo a cercare anche dentro questi. Mi diressi verso quello all’angolo alla mia sinistra, provai a sollevarlo, non era particolarmente pesante. Alzai il coperchio, senza fatica, accesi la torcia tascabile e guardai all’interno. In realtà, pensai che stessi perdendo tempo, un genio come Da Vinci, certo, non avrebbe mai usato un vaso per nascondere qualcosa di così prezioso! Tuttavia, ormai ero in ballo e dovevo ballare. Continuai con un altro vaso, quello all’angolo opposto. Provai a sollevare anche quest’otre e… non riuscii a farlo. Era pesantissimo, come fosse inchiodato al suolo, ma notai che si poteva spostare lateralmente, pensai ci fosse qualcosa, nel fondo del vaso, che gli consentisse di muoversi sul pavimento, forse delle piccole ruote.


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Ascoltiamo e leggiamo insieme il 4°- 5°- 6° brano dal mio giallo "La nemesi dell'Aquila", ambientato nella splendida Ferrara.