Brano trenta_ La nemesi dell'Aquila
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TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
CAPITOLO NOVE
Casa Ferrari
Ore 12:20 sabato 31 maggio 2014
Presi, molto presto, coscienza di quello che avrei dovuto fare, senza perdere altro tempo prezioso. Accompagnai mia moglie al tavolo e sempre tenendola per mano la invitai a sedersi, per riflettere e parlare con calma, insieme e nonostante tutto, su come risolvere la situazione. La pregai di fare mente locale e di provare a ricordare ogni avvenimento, ogni cosa accaduta nel periodo trascorso con Zocchi e la Congrega. Tutta la storia, dall’inizio, senza trascurare nessun particolare, anche se la ritenesse la più insignificante delle informazioni che potesse darmi. Emma comprese subito l’importanza della mia richiesta, con un rapido gesto della mano estrasse il fazzoletto dalla tasca dei jeans e lo portò agli occhi ancora coperti di lacrime. Sfregò via, con forza, l’effetto liquido del suo dolore, si soffiò un paio di volte il naso e iniziò a parlare. «Tutto quello che può servire a salvare nostra figlia, va bene. Dovrai avere pazienza, però, molta pazienza, perché è una storia che parte da lontano. Sono sicura che, quello che ti dirò, servirà a farti comprendere, esattamente, con chi abbiamo a che fare. «Avevo solo cinque anni, da Ferrara ci trasferimmo a Milano con tutta la famiglia, perché a mio padre era stato offerto un buon lavoro, in una famosa ditta di elettrodomestici. A 17 anni studiavo al liceo classico, lo stesso che frequentava anche Piero Zocchi. Ricco, affascinante e di rispettata e antica discendenza ebrea. Il suo maggiore interesse era lo studio dell’astrologia e della storia medioevale e rinascimentale. Disgraziatamente era anche il mio hobby purtroppo. Come tu sai bene insegno qui a Ferrara e mi sono laureata proprio in queste materie. «Banalmente, me ne innamorai e appena dopo un anno, lo sposai. Lui, piano piano, cominciò a farmi apprezzare i suoi originali pensieri e le sue teorie sulle fedi alternative, introducendomi a quelle ossessive credenze sulle stelle e sulle sue leggende, tramandate da antichi filosofi greci. Mi affascinò, mi raccontò con sapienza storie fantastiche, in particolare sulla stella di Altair. «In breve tempo, radunò altri seguaci, discendenti da vittime innocenti dell’Inquisizione, che come lui avevano sete di giustizia e di vendetta per i propri ascendenti, bruciati nei roghi o impiccati come streghe e stregoni. Diventò sempre più un’idea fissa per lui e per tutti gli adepti della Congrega. «Il suo scopo era dimostrare le colpe della Chiesa, che tra l’altro aveva anche fatto giustiziare decine, forse centinaia di ebrei per impossessarsi dei loro beni materiali, con la falsa giustificazione di ideologie eretiche. Stesso trattamento, subito da questo popolo, nella Seconda guerra mondiale, questa volta furono i nazisti a inventarsi un pretesto razziale per eliminare milioni di giudei. «Una sera, Zocchi ci mostrò con orgoglio la prova di quanto asseriva da tempo. Vincenzo Maggi l’aveva recuperato nel 1567 dalla casa torinese di Nostradamus, dopo la sua morte. Il manoscritto originale del Sommo Poeta, intitolato Le False Verità. Erano tre appendici al cantico dell’Inferno. Due papi e altri illustri personaggi, realmente esistiti, venivano posizionati nel VI cerchio, quello degli eretici, a conferma delle loro malefatte.» «Le appendici di Dante sono in mano alla Congrega, non ci posso credere!» Ero stupito ed irritato. «Quindi, devo dedurre che Antonio Maggi, che era in possesso del documento tramandato dal suo avo, si unì a voi in quel periodo?» «Esattamente. Aveva saputo della nascita della Congrega dell’Aquila da un’amica, anche lei appassionata di storia del rinascimento e anche lei discendente da una strega bruciata viva. Serena Agostani, che allora era un semplice poliziotto, si era trasferita da Ferrara a Milano.» Non la lasciai finire, ero tremendamente infuriato e deluso, non riuscii a trattenermi dal gridare, con tutta la forza che avevo in corpo. «Lo sapevi? Sapevi anche questo? Conoscevi il nome della talpa che stavo cercando disperatamente e anche in questo caso non hai detto nulla? Io ho fatto di tutto per non coinvolgerti, mentre tu mi nascondevi un’informazione fondamentale. Questa tua tragica scelta è il motivo per cui, in questo momento, tua figlia, mia figlia è tenuta prigioniera in qualche posto segreto. Rischia la vita, stronza, per colpa tua! La Agostani, maledetta anche lei, ecco la nostra delatrice. Avevo qualche dubbio su di lei, anche se rifiutavo di credere fosse coinvolta in questa brutta storia. Una sporca spia, al posto giusto per eseguire il suo infido compito,» pensai a voce alta. L’unica nota positiva, in tutto questo, era l’estraneità della Marini nella vicenda. «So perfettamente che non riuscirai mai a perdonarmi di averti nascosto il mio passato, ma come hai detto tu, è utile per salvare Chiara che io continui a dirti tutto quello che ho visto e che ho fatto nella Congrega dell’Aquila,» replicò Emma, prese fiato e proseguì il suo racconto: «Quel documento, portato da Antonio Maggi alla nostra attenzione, convinse sempre di più Zocchi nell’esistenza di prove scritte, che testimoniano di una Chiesa colpevole di eresia e omicidi. Tutto questo sarebbe stato impresso a chiare lettere in un misterioso manoscritto, entrato in possesso di Dante e da cui avrebbe appreso le nefandezze poi riportate nelle appendici, da lui chiamate: “False Verità”. In seguito, venimmo anche in possesso di una lettera del Villanova che, prima di morire, riuscì a consegnarla a un nostro adepto del periodo, tale Francesco Gaione, impiccato per stregoneria e avo di un attuale figlio dell’Aquila. Sapevamo che il Villanova aveva letto il documento eretico originale e che le sue idee erano, in diretta polemica, contro l’organizzazione ecclesiastica, prospettando, nei suoi scritti, una riforma della Chiesa stessa. «La lettera, oltre a riferire dell’incontro di Dante con Pietro d’Abano e della consegna a quest’ultimo degli antichi fogli, rivela quale fosse la vera natura di quel manoscritto. Si trattava in realtà di un diario segreto, nel quale venivano siglati terribili accordi criminali tra un ordine di frati predicatori, comunità fondata, nei primi del 1200, e un altro ordine dei cosiddetti frati minori, ordine fondato alla fine del X secolo.» «Storicamente, questi due ordini ecclesiastici divennero famosi per ferocia ed efferatezza, infatti, nelle loro fila, si ritroveranno i più grandi inquisitori di quel periodo,» aggiunse del suo Emma, poi riprese a parlare della lettera. «Villanova faceva anche riferimento alle loro confessioni, complete, con dovizia di particolari che rivelavano, senza ombra di dubbio, il vero scopo della furiosa caccia agli eretici e alle presunte streghe: guadagnare soldi, potere, benefici e proprietà, nascondendosi dietro una fede con i suoi dogmi e le sue regole. Proseguiva la lettera dicendo che, a suffragare il tutto, vi era l’avallo e la firma in calce dei due papi del periodo, uno di seguito all’altro. Concludeva il suo scritto molto amareggiato, riferendo che quei fogli, avuti da Pietro d’Abano, contenevano qualcosa di ancora più grave per la Chiesa. «Credo di non sbagliare dicendo che penso si riferisse al fatto che, nel periodo in questione, altissime figure della Cristianità, molti frati inquisitori, politici, scienziati e alcuni nobili sposarono una precisa forma di paganesimo, professando il credo verso gli antichi dei, sconfessando le origini dell’uomo, da parte di Dio.
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