Brano quindici_ La nemesi dell'Aquila
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TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
«Se il documento è, come sembra, originale, siamo davanti a uno scoop storico, inimmaginabile.» Nel terzo foglio, che appariva sul monitor, erano evidenti i famosi timbri in ceralacca del periodo e le firme dei convenuti che davano, senza ombra di dubbio, l’assoluta validità a tutto il documento. La dottoressa stampò due copie del centrale e mi porse una delle due:
Potentio origine scritto in capitoli III appendicem Inferno Sommo et illustrissimo poetae di pugno suo signato in titolo di “Le False Veritate”. Origine certa scritto mano custodite in secreto loco mai vedute fin da anno nativitatis eiusdem 1504 e pria ancora custodia da illustrissimo Obizzo III signore della urbe de Ferrara da anno nativitatis 1329. In confermo e garantia absoluta. Duca illustrissimo Alfonso Secundo della casata D’Este di Ferrara.
Esordii con due richieste per il professore. La prima era molto semplice e chiedeva a cosa ci avrebbe portato tutto questo. La seconda ipotizzava che Maggi fosse venuto in possesso della copia del documento, tutto o in parte, dal suo antenato, oppure fosse venuto a conoscenza, sempre tramite qualche scritto tramandato dal passato, dove avesse potuto trovare i fogli che cercava, nelle bottiglie di Camponeschi. Allora perché, come logica impone, avendo recuperato tutti e tre i documenti, ne avrebbe fatti trovare solo due. Perché a noi? Forse per costringerci a indagare sul mancante? Il professore rispose, al mio primo interrogativo, con una domanda, anche se, sottolineò, è sempre scorretto farlo. Si chiese se nell’antico foglio davanti ai suoi occhi si stesse parlando proprio di Dante. «Se sì,» ammise, «stiamo guardando uno scritto, originale, che coinvolge l’opera prima del Sommo Poeta e che, in pratica ci informa: la Divina Commedia, così come la conosciamo, non è completa! Mancherebbero le tre appendici di cui parla il documento.» Poi, sempre più sorpreso da quello che stava leggendo, ci rivelò che, quello che più lo incuriosiva, era lo strano iter seguito da questo manoscritto segreto. Infatti, dal testo sembrerebbe sia stato nascosto e custodito dalla casata estense per più di due secoli e, per quanto era dato a sapere, in due luoghi diversi. «Soprattutto il primo nascondiglio citato, “il secreto loco” mai veduto, risulta essere veramente misterioso!» Continuò, chiedendo di approfittare della dottoressa per cercare nei documenti dell’Archivio qualche traccia di quel luogo. Mentre la Zanchi si occupava di questa ricerca, Lombardi volle rispondere al secondo quesito che Ferrari gli aveva posto. «Era premeditato, sicuramente! Qualcuno voleva che si scoprisse di più su queste misteriose carte. Infatti, solo chi avesse potere di accesso a questi archivi di Modena poteva farlo.» «Il luogo segreto è la chiave di tutta l’indagine, ed è quello che vogliono sapere anche gli assassini. Loro ci hanno mandato qui per fare il lavoro di ricerca al posto loro. La domanda più logica adesso è questa: cosa c’è scritto nelle tre appendici per essere così importante per questi criminali? Se questo documento è stato consegnato a Nostradamus nel 1560, come risulta dalla lettura di questi fogli, qual è lo scopo di trovare un nascondiglio che sembrerebbe essere stato privato del suo tesoro più prezioso? A rigore di logica dovrebbe essere vuoto.» Sostenni deciso. «Forse posso rispondere io,» m’interruppe la dottoressa Zanchi. «Ho trovato due lettere che ora trasferisco sui vostri due monitor. Una del 1496 e una del 1503. Sono indirizzate ambedue al duca Ercole I d’Este. La firma della prima sembra appartenere al Savonarola e la seconda è chiaramente firmata da Niccolò Copernico che, in quell'anno, aveva ottenuto la cattedra all’università di Ferrara. L’oggetto delle due lettere sembra essere molto simile, anche se i toni appaiono decisamente diversi. Il Savonarola chiedeva, o meglio supplicava, di nascondere al mondo le terribili nefandezze ordite e poi trascritte in un testo che lui definisce: “maleficarum adventus antichristi”. Il Copernico, preso atto delle teorie eretiche dello stesso manoscritto, a cui fa riferimento il Savonarola, chiede di convocare a corte Leonardo da Vinci, perché possa costruire una solida camera segreta, atta a conservare nel tempo il prezioso scritto.» «La prego, si fermi, solo un attimo,» interruppi la dottoressa su quest’ultima frase. Posizionai le due lettere l’una accanto all’altra nel monitor, le confrontai per qualche minuto e poi chiesi, a tutti, di fare il punto della situazione. Mi resi conto che, improvvisamente, emergevano, dai meandri della storia, importanti personaggi tra cui, addirittura, il genio di Vinci. Tutti collegati a questa strana vicenda, che ora sembrava complicarsi ancora di più, di quanto non lo fosse già. «Dobbiamo considerare l’ipotesi, molto probabile, che esistano due scritti, unici e originali. Uno di questi potrebbe essere dell’Alighieri e uno definito “nefando”, come lo chiamò il Savonarola, di un autore sconosciuto. Sembrerebbe essere colmo di teorie eretiche, ma comunque da salvaguardare assolutamente, almeno così sosteneva il Copernico. Se avessimo conferma della visita di Leonardo a corte, dovremmo valutare, come possibile, il suo intervento nella realizzazione di questo famoso luogo segreto, per custodire i due documenti. Cosa ne pensa, prof?» Ero curioso. «È una bella storia, leggendo queste due lettere che ho anch’io sul monitor, posso senza dubbio dire che almeno uno dei due scritti era già custodito alla corte estense fin dai primi del Trecento. Parlo di quello, ipotetico, di Dante che, se la memoria non m’inganna, morì a Ravenna nel 1321. Sul secondo testo, ho ancora nella testa parecchi quesiti irrisolti a cui rispondere. Esiste un collegamento tra i due documenti? Nelle due lettere appare evidente che il Savonarola e il Copernico abbiano letto, attentamente, il cosiddetto “manoscritto eretico” ma non le tre Appendici. «Perché nascondere e conservare a corte ambedue gli scritti, quando sarebbe stato molto più comodo distruggerli? Si deduce da questo comportamento che fossero vitali per il Ducato e collegati da un’utilità comune. Concorda con me Leone?» «Concordo, concordo assolutamente,» risposi convinto. Vista l’ora decidemmo seriamente di lasciare riposare le nostre teste e quella della nostra dottoressa rimandando al pomeriggio la nostra ricerca. Inoltre, dovevamo assolutamente liberare dall’impegno di lavoro la Zanchi, lasciandola andare, finalmente, a pranzo, senza dimenticare di chiederle se desiderasse venire a mangiare con noi. «No, grazie devo declinare l’invito, oggi sono attesa a casa,» fu la risposta gentile della donna. «Se volete, alle 14:30 sarò in ufficio, disponibile a continuare il nostro lavoro. Sapete già dove andare? Se volete, posso indicarvi qualche buon ristorante nelle vicinanze.» «Sono nato a Modena e fortunatamente ho ancora i miei genitori vivi e vegeti. Spesso vengo a trovarli e colgo l’occasione per portarli fuori a pranzo. Un paio di posti giusti li conosco, ottenendo tre risultati: primo, con la scusa, li faccio uscire di casa, altrimenti non lo farebbero mai. Secondo, evito di costringere mia madre a passare un sacco di tempo ai fornelli e terzo, ma non meno importante, evito il suo caffè alla fine del pranzo, che è pessimo.» Una risatina compiacente della dottoressa concluse in modo piacevole il nostro parlare. «Venga, Lombardi, mi segua, conosco un buon ristorante, proprio qua dietro, in Corso Vittorio Emanuele. Ho la massima fiducia nelle sue capacità gustative, la sua pancetta testimonia una buona esperienza nel settore, sono tranquillo!» A tavola si parla bene e in tranquillità.
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