Brano trentacinque_ La nemesi dell'Aquila
«Sì, gliel’ho detto e anche che stai cercando uno scritto che possa testimoniare il possesso del manoscritto da parte di Dante. Non ho fatto parola su Serena. Credo, però, che possa aver sospettato che ti abbia rivelato l’identità della talpa, quindi la farà sparire sicuramente, conoscendolo, direi che si comporterà così.» «Quello che hai fatto è stato molto stupido. Non potevi prevedere le reazioni di quel delinquente. Hai messo in pericolo te stessa e Chiara.» Poi continuai, con un tono di rimprovero: «Non ho apprezzato assolutamente questa tua idea balzana e puoi solo ringraziare la dea bendata, non certo il buon senso. Adesso, comunque, dovrò sfruttare al meglio il tuo «colpo di genio.» Devo riconoscere che, tutto sommato, hai aiutato la mia inchiesta, allungando i tempi di ricerca del documento del Sommo Poeta toscano. Meriti di essere informata, a questo punto, sull’andamento delle nostre indagini, mia e del professore, sperando in una conclusione rapida e positiva.» «Ti ringrazio, se lo farai ti sarò debitrice. Ti chiedo solo una cosa, non lasciare che Chiara corra dei rischi, mettila al sicuro prima possibile,» concluse Emma, salutando e chiudendo la lunga telefonata.
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 16:30 lunedì 02 giugno 2014
Volsi il capo verso il tavolo alle mie spalle, per meglio farmi capire da Alessia. «Scusa se ti disturbo, mentre sei impegnata nel tuo lavoro al computer, ma sono molto agitato. Sto attendendo l’autorizzazione della Regione per la visita e la perquisizione all’abbazia. Dovrebbe arrivare entro mezz’ora, altrimenti devi richiamare subito l’ufficio dei Beni culturali e a costo di apparire dei rompicoglioni, come una sanguisuga, attaccati al telefono e insisti sull’urgenza dei permessi, fino a quando non li spediscono.» Dopo aver dato queste istruzioni alla Marini, continuai a parlare con Samuele, già seduto davanti a me, alla scrivania. «Scusa l’interruzione, torniamo a noi e al nostro piano di ricerca.» Lombardi iniziò dicendo che, la sera prima, si era dedicato alla lettura degli ultimi canti del Paradiso cercando, disperatamente, un aggancio tra il monastero di Pomposa e il Poeta. Era riuscito a evidenziare alcuni aspetti ricorrenti nella vita e nelle opere di Dante. Per esempio, portò l’esempio del numero tre. La Commedia si compone di tre cantiche e di trentatré canti per ognuna di queste. Intorno alla terra ruotano nove cieli, multiplo anche questo di tre. Continuò sottolineando che anche l’Inferno di Dante è formato da nove zone, e che la metrica ha una strofa particolare, detta terzina dantesca, formando gruppi di endecasillabi incatenati tre a tre con rime concatenate in uno schema ben preciso: 121-232-343. Mi fece anche notare che sulla facciata, all’entrata della basilica, vi erano degli incavi colorati che si alternavano con sei rilievi, raffiguranti animali, disposti in modo speculare, posizionati tre a sinistra e tre a destra dei due archi di entrata dell’atrio della chiesa. Insistette, dicendo che era molto interessante, per la nostra ricerca, come fossero posizionati: uno verde, un leone, uno bianco, un’aquila, uno marrone, un pavone, uno verde, nel lato sinistro. Uno marrone, un pavone, uno verde, un’aquila, uno marrone, un leone, uno bianco, nel lato destro. Quindi, proseguì, dicendo che se l’Alighieri avesse seguito il suo sistema di rime concatenate, la soluzione potrebbe interessare uno degli incavi colorati ma, alla fine, si domandò quale potesse essere. «Forse ho un’idea,» dissi, «proviamo a dare un numero corrispondente a ogni colore, seguendo l’ordine sulla facciata, partendo da sinistra: verde= 1, bianco= 2, marrone= 3. «Ora, utilizzando lo schema del Poeta, 121-232-343, partendo da sinistra, rimane libero l’incavo marrone, alla destra dell’aquila, probabilmente è quello il riferimento che cerchiamo.» «Dottore, scusi se la interrompo. È arrivato un messaggio dalla Regione, mi hanno garantito l’arrivo dei permessi per le 18:30, al massimo alle 19:00.» «Meno male, forse abbiamo luce fino quasi alle 21:00. Possiamo evitare di entrare nell’Abbazia con le torce elettriche, come ladri!» La vibrazione del mio cellulare mi colse di sorpresa, mentre cercavo di focalizzare i miei pensieri sullo schema del poeta. «Leo, ciao, sono Angelo, tutto bene?» Domandò il collega della sezione reparto informatico. «La salute, bene, per il resto meglio stendere un velo pietoso. Spero che la tua telefonata sia foriera di buone notizie.» «Molto buone, signor vicequestore. È successo quello che ti aspettavi succedesse. Ora possiamo, finalmente, risalire alla fonte. Ti manderò per e-mail, al tuo indirizzo personale, con tutte le informazioni che ho raccolto. Ciao, a presto.» «Grazie, mille grazie, Angelo, sapevo di poter contare su di te e sulla tua discrezione, se ne avessi avuto bisogno. Un abbraccio, vecchio amico mio.» Conclusi la telefonata e notai gli sguardi indagatori di Samuele e della Marini. Sguardi che non avrebbero avuto, per il momento, nessuna risposta.
Abbazia di Pomposa Codigoro, (Fe)
Ore 19:50 lunedì 02 giugno 2014
Con il professore entrammo nell’atrio, all’ingresso della Chiesa, dopo aver sostato all’esterno per parecchi minuti, a osservare la facciata che avevamo studiato nelle tante immagini al computer. Il vantaggio, dell’ora tarda, era quello di aver ridotto l’inclusione dei tanti turisti che, in un orario diverso, avrebbero potuto disturbare la nostra ricerca. Avevamo, con noi, l’autorizzazione ad accedere alle stanze laterali dell’atrio, normalmente chiuse al pubblico, che erano quelle che ci interessavano maggiormente. Il custode, che era stato avvertito del nostro arrivo e di quali locali avremmo potuto perquisire, aprì la grossa porta nera del lato sinistro. Ci ritrovammo in una piccola stanza, ingombra di oggetti e piccole statue e reliquie di minore importanza. Il custode ci informò che la stanza veniva utilizzata come deposito, almeno fino a quando non fosse stata riaperta al pubblico. «Avete bisogno di qualcosa?» Approfittammo subito della cortesia manifestata dall’uomo, risposi chiedendo la sua disponibilità, per una scala, abbastanza lunga da arrivare all’altezza dei rilievi. Il custode soddisfò, velocemente, la nostra richiesta, prendendo successivamente commiato da noi, non prima di averci suggerito di chiamarlo se avessimo avuto bisogno di un’altra qualsiasi cosa o avessimo avuto un problema di qualsiasi tipo. Nel frattempo, la stanza, che non aveva fonte di luce elettrica propria, era diventata buia e si rese necessario accendere la torcia che avevamo portato con noi. Cominciai a salire sulla lunga scala in legno, facendo molta attenzione a dove mettevo i piedi. Avevo notato che alcuni vecchi pioli erano tarlati in diversi punti, compromettendo la resistenza, al peso eccessivo, di quelle liste di legno, rendendole abbastanza pericolose. Iniziai a controllare minuziosamente, una volta arrivato all’altezza giusta, tutti gli incavi, con un particolare riguardo per quello color marrone, che si posizionava alla destra del rilievo dell’aquila, sperando in cuor mio di aver formulato una valida ipotesi. La mia azione era supportata da Samuele, che da basso concentrava il fascio di luce, della grossa pila elettrica, nelle zone che io gli indicavo di illuminare. A un certo punto, quasi per caso, tornando a controllare l’incavo di color marrone, mi resi conto che, forse, il tempo e la sporcizia accumulata negli anni, colpevole, anche, l’incuria degli addetti alle pulizie di quel luogo poco frequentato, potevano aver coperto, in modo anomalo, uno spazio libero dal colore.
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