Brano ventuno_ La nemesi dell'Aquila
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TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
Alzai, con un certo sforzo, il coperchio, molto incuriosito. Accesi la torcia e guardai dentro. Questa volta il vaso non era vuoto come l’altro, ma era pieno di.. sabbia? Rimasi stupito. «È pieno di sabbia!» Annunciai, guardando il viso stupefatto del Lombardi. «Non c’era sabbia negli altri due, nemmeno un granello, erano completamente vuoti, come si spiega?» «Ok, quest’otre è diverso dagli altri, forse è quello che cercavamo.» «Questa, ammisi, potrebbe essere la chiave per risolvere il mistero!» cominciai a riflettere. «Dunque, si può spostare e, sicuramente, non è venuto in mente a nessuno di mettere documenti importanti dentro a un vaso pieno di sabbia! Si tratta di roccia sedimentaria sciolta, quindi un elemento naturale che mantiene lo stesso volume e lo stesso peso nel tempo e pensai subito alla sabbia nelle clessidre. «Il vaso è chiuso, come si vede, da un coperchio a pressione, che non permette sbalzi termici e l’ingresso dell’umidità. Ogni cosa rimane costante nel tempo, da sempre e per sempre, quindi, caro professore?» «Sto pensando… forse, credo… potrebbe essere considerata un’unità di misura?» Propose Lombardi. «Esatto è proprio così. È un’unità di misura, prof!» Ero felice della nostra condivisione mentale. «Dobbiamo muovere quest’otre verso qualcosa in questa stanza. Il suo peso è stato predeterminato e probabilmente serve per azionare un meccanismo, corrispondente a un’azione ben precisa!» Assicurai, convinto di aver capito la meccanica del movimento, atto a scoprire il nascondiglio creato da Leonardo. «Il peso della sabbia potrebbe corrispondere al peso di Ercole I o della moglie, ci scommetterei!» Replicò, confermando la mia teoria, Samuele. «Non ha torto, potrebbe essere la soluzione. Portiamo il vaso davanti a uno dei due ritratti e vediamo cosa succede.» Iniziammo con quello del duca, posizionando l’otre nel primo riquadro di cotto rosso, davanti al ritratto. Sperai succedesse qualcosa, ma rimasi deluso. Niente paura. Secondo tentativo, stessa procedura, questa volta davanti al quadro di Eleonora d’Aragona. Attesi qualche secondo, che sembrò eterno, prima di udire distintamente il rumore secco di uno scatto, nel lato destro della cornice del quadro, che si staccò leggermente dalla parete. Emozionato, mi avvicinai e infilando la mano dietro il dipinto, lo tirai verso di me. Poi lo spostai lateralmente, come si apre una porta, da destra verso sinistra, nel lato dove si trovavano due cerniere che ne permettevano l’apertura. All’interno, una cavità, ricavata da una nicchia nel muro. Una lastra di metallo scuro, simile alla porta di una cassaforte, ne celava l’interno. Non avrei saputo riconoscere il tipo di metallo ma dava l’impressione di rendere veramente impenetrabile l’accesso. Al centro, in una linea verticale, quattro fori, profondi alcuni centimetri, ricavati nella lastra stessa e ben distanziati tra loro. «E adesso?» Domandò sorpreso il professore. «Adesso dobbiamo cercare, da qualche parte, oggetti che siano compatibili con questi fori. Forse, dei cilindretti metallici o di legno che, inseriti in un certo modo o in un certo ordine, dovrebbero essere la chiave per aprire questa specie di cassaforte!» Cominciai a guardarmi intorno, per scoprire qualche strano oggetto che somigliasse o contenesse quei ricercati piccoli oggetti. Finalmente, dopo tanto cercare, Lombardi notò che sotto un coperchio dell’otre facevano bella mostra quattro intarsi circolari. A un primo esame sembravano decori, come tanti altri, sempre presenti sui vasi ornamentali del periodo. In realtà, osservando bene, ogni forma circolare aveva un piccolo incavo laterale. Avrebbe potuto essere usato per estrarre un eventuale oggetto che fosse stato inserito nel coperchio, aiutandosi con una leva introdotta nella piccola cavità stessa. Quest’ultima osservazione, del professore, aveva rivelato l’inganno messo in atto da Leonardo! Infatti, provando a estrarne uno, con il sistema descritto prima, Samuele si ritrovò in mano un cilindro di legno, esattamente come quelli che pensavamo di trovare. Ne sarebbero serviti quattro, ma scoprimmo presto che anche gli altri tre coperchi avevano gli stessi quattro decori da estrarre, per un totale di sedici cilindri. Tra questi, avremmo dovuto trovare quelli adatti all’apertura del piccolo caveau. Dopo averli estratti tutti, li sistemammo sul tavolo e ci sedemmo per analizzarli, con calma. Lombardi notò per primo che ogni cilindro aveva un numero romano inciso nella faccia nascosta. Era chiaro che l’azione necessaria per fare aprire la cassaforte era l’esatto inserimento dei cilindri nei fori della lastra, seguendo una misteriosa sequenza numerica. «Io proverei a inserirli valutando una numerazione che tenga conto delle date importanti della vita di Enrico I e della sua famiglia. Potremmo iniziare con la data di nascita o di morte di Eleonora. Abbiamo visto che il nascondiglio segreto era sotto il suo ritratto; quindi, tenterei con le cifre che la riguardano,» esordì il professore. Estrasse lo smartphone e cominciò a digitare la ricerca su questi personaggi. «Le prime due cifre dovranno essere sempre e comunque 1-4, visto che tutte si riferiscono al 1400. La nascita di Eleonora è il 1450 quella del matrimonio è il 1473, la morte nel 1493, anche se dubito che Enrico I volesse ricordare questa funesta ricorrenza. «Ferrari, per cortesia, provi a inserire nei fori i cilindri con le cifre 1 4 5 0.» Infilai lentamente a uno a uno i piccoli cilindri, ognuno dei quali differente, per lunghezza, dagli altri e aspettai fiducioso che uno scatto, un rumore qualsiasi mi segnalasse l’apertura dell’ingegnoso meccanismo. Purtroppo, però, non si udì nessun rumore, nessun movimento, nessun segnale che fosse la data esatta, forse la nostra prima ipotesi non era quella giusta. Lo sconforto aumentava, di pari passo con i tentativi non riusciti. Le combinazioni provate, con le cifre degli eventi importanti nella vita di Eleonora d’Aragona e di Enrico I non sbloccavano il meccanismo. Mi domandai quale potesse essere la cosa più importante, per il duca, oltre alla moglie e a sé stesso. «Sicuramente, la nascita del primo maschio, successore designato,» informò Lombardi. «Il figlio che avrebbe dovuto portare avanti la dinastia estense. Nacque tre anni dopo il matrimonio, vado a memoria, dunque 1476 direi.» «Ok, proviamo questi numeri,» ribadii fiducioso. Ma, ancora una volta, inseriti tutti e quattro i cilindri, nulla si mosse. «Stiamo sbagliando qualcosa, è tutto troppo semplice. Il genio deve essersi inventato qualche strano inghippo. Proviamo a capire come funziona questo maledetto meccanismo.» «Vede, Ferrari,» suggerì il professore, guardando attentamente tutti i cilindretti, «credo che la soluzione di questo mistero sia nella lunghezza. Se guarda bene anche tu vedrai che solo quattro sono più lunghi degli altri.» «Esatto, prof, ti dico io il perché. Secondo me, questi quattro pezzi di legno, cilindrici, sono i soli che riescono ad arrivare in fondo al foro. Probabilmente spingono delle piccole leve che muovono un congegno che, a sua volta, sblocca insieme a una ruota dentata, il nostro meccanismo.» «Grande intuizione, Ferrari, adesso proviamo le varie combinazioni con questi numeri.» Samuele sembrò entusiasta della mia idea. Pensai alcuni minuti, poi feci un tentativo. Provai a inserire la seguente sequenza: (I) (XIV) (VII) (VI). I piccoli pezzi di legno, a uno a uno, s’incastravano all’interno degli spazi ricavati nella lastra metallica e ogni volta si udiva uno scatto secco, come il rumore di una chiave quando gira nella serratura.
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