Brano trentatre_ La nemesi dell'Aquila
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TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
Lombardi concluse, con quest’ultimo storico passaggio, l’elenco completo degli avvenimenti di cui eravamo a conoscenza, fino a oggi. «Va bene, è tutto molto chiaro. Pensi anche tu, come me, che Dante abbia lasciato una specie di testamento, qualcosa scritto di suo pugno, dopo aver letto quel famoso manoscritto? Avrebbe dovuto sentirsi in dovere di giustificare quei nomi pesanti e così importanti, che aveva bellamente inserito nel VI cerchio dell’Inferno!» «Sappiamo essere sempre stata una sua abitudine inserire personaggi realmente esistiti o incontrati e definirne il carattere, i pregi o le malefatte. Se, come penso, anche il tuo pensiero viaggia in questo senso, la risposta al mio quesito, è sì. Questo documento deve esistere e deve essere stato scritto prima di morire, nascosto in qualche luogo frequentato dal Poeta, alla fine dei suoi giorni.» «Il mio pensiero è identico al tuo e avevo già preso in esame la tua ipotesi. Tempo fa ho lavorato sui miei appunti e feci una ricerca sugli ultimi movimenti dell’Alighieri. Esclusi, per la sua intelligenza e la sua astuzia più volte dimostrata, che conservasse nello stesso posto i documenti importanti. «Quindi, se le Appendici erano in possesso del duca di Ravenna, che le diede alla corte estense, se la lettera di Fontanini era nella biblioteca del convento dell’abbazia di Santa Maria, il documento scritto da Dante, che attesta l’esistenza del manoscritto, ora in mano al Vaticano, può essere solamente nella chiesa dell’abbazia di Pomposa. «Dante Alighieri vi soggiornò durante i suoi viaggi tra Ravenna e Venezia, mentre svolgeva incarichi diplomatici, per conto di Guido da Polenta. Sembra che il figlio Jacopo, pure lui poeta, abbia recuperato, misteriosamente, un anno dopo la morte del padre, proprio a Pomposa, gli ultimi tredici canti del Paradiso mancanti, che dovevano essere contenuti nell’ultimo libro della Commedia. «Ed è proprio in un canto del Paradiso che Dante fa riferimento al monaco Pietro Damiano, vissuto vari anni nel monastero di Pomposa. Pare che tra loro si fosse creata, nel tempo, una solida amicizia. Questo mi fa pensare a una complicità, nata per custodire il grande segreto del Poeta, forse avallando anche la sua ipotetica testimonianza scritta. Sono disposto a scommettere, e non è mia abitudine farlo, che il documento che stiamo cercando esiste realmente ed è nascosto in qualche angolo segreto della chiesa.» «È possibile, quello che hai detto è verosimile, in effetti, tutto lascia pensare che possa trovarsi solo lì, ma dove?» Risposi convinto, confermando in toto l’ipotesi del professore. Continuai sottolineando le difficoltà a cui saremmo andati incontro, cercando di trovare uno o più fogli, nascosti da secoli, in uno spazio così grande, ricco di possibili nascondigli, come era la chiesa di Pomposa. Non avevamo neppure la certezza che fosse ancora leggibile e che si fosse conservato dall’usura del tempo. Consigliai di concentrarci su foto e piantina dell’interno del Santuario, sperando di riuscire a individuare un oggetto, una statua, un anfratto che ci convincesse di essere sulla strada giusta. Passammo una buona mezz’ora a guardare foto e a zoomare sulle immagini che scorrevano sui nostri monitor. «Credo di avere un probabile indizio,» annunciò il professore. «L’aquila, il simbolo più vicino al credo di Altair, è uno degli animali scolpiti sulla facciata dell’ingresso dell’abbazia.» «Hai ragione!» Stavo guardando la stessa immagine, ingrandendola. «È proprio un’aquila,» confermai. «L’animale rappresentato al centro è un’aquila e ai lati ci sono un leone e un pavone.» «Proprio così,» continuò Lombardi «mentre ai lati delle sculture… veramente mi sembrano più dei rilievi, sì, direi con certezza, si tratti di rilievi, sembrano in gesso, non so. Ai lati degli animali vedo incavi rotondi colorati, sono otto, se non erro. Tre sono verdi, tre marroni e due bianchi.» Feci notare che i tre rilievi presenti nell’altro lato della facciata erano speculari, con l’aquila sempre al centro, ovviamente. Proseguì dicendo che era necessario capire quale ragionamento logico era passato nella testa del Poeta che potrebbe aver pensato, come noi, a un simbolico nascondiglio, vedendo l’aquila in rilievo. Dovevamo andare direttamente alla Pomposa, toccare con mano quei rilievi e quegli incavi, per renderci conto. Avrei dovuto chiedere, al più presto, un permesso di visita e perquisizione, alla Regione e anche ai Beni culturali, adducendo motivazioni di ricerca storica per documenti rari e importanti, utili al fine ultimo di un’indagine complessa di polizia. Per ora dovevo evitare di coinvolgere il questore e il magistrato, l’Agostani avrebbe potuto venirlo a sapere! Improvvisamente, udii il mio cellulare suonare, era il motivo dei Queen, sobbalzai sulla sedia. Speravo fosse chiunque, ma non Zocchi o mia moglie. Estrassi il dispositivo dal taschino della giacca, sperando non fosse già arrivato il fatidico momento dell’incontro con quel criminale. Purtroppo, comparve il numero di Emma. Stringendo occhi e denti le chiesi cosa fosse successo. La risposta fu quella che mi aspettavo, aveva chiamato Zocchi. «Vuole vederti domani, ti farà sapere l’ora e dove, chiamerà sempre e solo me, da un telefono pubblico.» Le domandai se lui avesse detto altro e se lei avesse capito, dai rumori di fondo, da dove stesse chiamando, se da un posto pubblico o da un luogo isolato. La risposta fu negativa, mi fece notare che la telefonata era stata molto breve e che sarebbe stato impossibile, per chiunque, capire da dove e con cosa la facesse. Conclusi con un veloce e breve ringraziamento, ricordandole di farmi sapere, immediatamente, quando avesse ricevuto le coordinate dell’appuntamento. Nonostante fossi preparato a ricevere un ultimatum da quel bastardo, l’ansia mi prese ugualmente allo stomaco e sentii come un senso di nausea. Trattenni a stento un leggero conato di vomito, se non altro per il povero Lombardi, che mi scrutava il viso, contratto dalla rabbia. «Sbaglio, se penso che, dopo quello che accaduto, il rapporto con tua moglie si sia molto incrinato?» Commentò Samuele, seriamente dispiaciuto della mia attuale situazione famigliare. «Vorrei vedere che così non fosse, sarebbe impossibile, per chiunque, passarci sopra e perdonare, dopo quello che mi ha tenuto nascosto. Ho anch’io le mie colpe, ma sono sempre un effetto delle sue menzogne, accidenti a lei.» Confessai, però che, forse, sarei riuscito, col tempo, a dimenticare. Nonostante tutto, provavo ancora un sentimento forte che mi spingeva verso il perdono, anche se, fino a quando l’indagine non si fosse conclusa sarei rimasto a vivere in albergo. Ritenevo fosse molto meglio così.
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