Brano quattro_ La nemesi dell'Aquila

 


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TRATTO DAL LIBRO
 "LA NEMESI DELL'AQUILA"

Si sedette, visibilmente contrariato dal mio apparentemente ineducato modo di presentarmi. «Suo fratello, non è venuto?» «Non ci siamo ancora visti. Sono partito all’alba da Varese e, come da mia abitudine, adorando alzarmi presto, ho viaggiato nelle prime ore del mattino, le migliori, per guidare. Carlo è com’era suo padre, ama stare sotto le coperte e partire all’ultimo minuto, adora la vita comoda ed è sempre in ritardo. Conoscendolo, sarà partito da Roma ieri sera e avrà dormito a Ferrara, in qualche hotel vicino alla Questura.» «Scusi, perché ha detto è come suo padre? Non siete fratelli?» «Fratellastri, in verità,» precisò. «Quando mia madre sposò il mio patrigno, nel 1980 a Roma, io avevo già sei anni. Due anni dopo nacque Carlo, un bel fratellino di quasi quattro chili. Il rapporto tra di noi è ottimo, siamo molto legati e le nostre famiglie hanno frequenti contatti. Io e mia moglie siamo stati molto vicini a mio fratello quando, quattro mesi fa, fu colpito da una terribile disgrazia. Suo figlio fu investito da un’auto pirata, mentre in bicicletta tornava a casa. «La morte del piccolo lo distrusse mentalmente e fisicamente. Adesso sta lentamente e faticosamente riprendendosi. Con il nostro aiuto e la nostra costante presenza abbiamo cercato di aiutarlo in tutti i modi. L’omicidio del babbo non ci voleva proprio, credo che questo dramma vanificherà tutti i progressi che aveva ottenuto in questo ultimo mese.» «Capisco. Sarei molto curioso di sentire anche suo fratello. Vista l’ora, dovrebbe essere già arrivato in Questura. Può darmi, per cortesia, il numero del cellulare?» Provai diverse volte a comporre il numero datomi da Andrea, ma il centralino continuava a rispondere con il solito messaggio registrato: «il telefono con il numero da lei selezionato risulta spento o non raggiungibile.» Non capii subito il perché ma, all’ennesimo tentativo fallito, iniziai a sentire un brivido freddo, partiva dallo stomaco e saliva fino al cervello. Per la mia esperienza, quella sensazione presagiva sempre grossi guai. «Marini, per cortesia, controlli gli arrivi negli alberghi del centro da ieri mattina.» La richiesta fu fatta ad alta voce, ma intanto, dentro di me, si faceva strada un bruttissimo presentimento. Il volto del signor Andrea perse colore e la bocca si ripiegò in una smorfia di sgomento. «Lei pensa... lei crede sia successo qualcosa a mio fratello?» Quasi leggesse i miei pensieri. «Dio non voglia, ma è meglio sincerarsi del motivo del ritardo. Rispetto all’orario fissato per il nostro appuntamento è trascorsa quasi un’ora!» Passarono altri dieci minuti, che sembravano eterni, prima che Alessia interrompesse i brutti pensieri miei e del mio ospite. «È confermato. Il signor Carlo, ieri notte, è sceso all’hotel Antica Regina.» «Lo conosco,» dissi, rivolgendomi a Camponeschi. «Lo ricordo come un piccolo ma raffinato residence con una ventina di camere. È inserito in un elegante palazzo quattrocentesco, situato in una zona tranquilla, del centro.» Sempre più preoccupato, mi rivolsi alla Marini: «Mi passi la reception dell’hotel.» Due squilli. Al terzo arrivò la risposta. «Buongiorno, reception dell’hotel Antica Regina,» rispose una voce femminile, molto gentilmente. «Desidera?» «Buongiorno signora o signorina, è in linea con la Questura di Ferrara, dottor Ferrari.» «Buongiorno dottor Ferrari, come posso aiutarla?» «Potrebbe cortesemente confermare, con assoluta certezza, che il signor Carlo Camponeschi ha occupato la notte scorsa una vostra camera?» Una decina di secondi di silenzio e poi la voce della donna rispose sicura: «Sì, è confermato, aveva prenotato ieri verso mezzogiorno, per due notti. Si è presentato ieri sera alle 20:30 e ricordo che era salito subito in stanza, perché molto stanco per il viaggio da Roma.» «Risulta abbia lasciato la sua camera?» La risposta mi raggelò: «La chiave della stanza 101 non è stata riconsegnata, sto provando anche a chiamare il cliente ma non risponde, se vuole mando qualcuno, di persona.» «Lo faccia, lo faccia subito, attendo in linea.» Trascorsero quattro, forse cinque interminabili minuti prima di udire la voce concitata di un uomo, che mi comunicava quello che non avrei mai voluto ascoltare. «Pronto, dottor Ferrari, sono il direttore dell’hotel.» «Sì, mi dica direttore.» Con la voce, rotta dall’emozione iniziò a parlare, lentamente. «Purtroppo, è accaduta una cosa terribile... non riesco a trovare le parole per spiegarlo, dovete venire subito e vedere con i vostri occhi, è un omicidio terrificante, incomprensibile. Presto intervenite subito... vi prego!» Mi alzai rapidamente dalla sedia e rivolsi una domanda, con tono deciso, all’ispettrice Marini. «Dove trovo l’ispettore capo Nardi?» «Lo dovrebbe trovare giù in archivio, ha detto che doveva controllare dei documenti riguardanti un suo vecchio caso.» Mi avvicinai ad Alessia e, con un tono basso della voce, le chiesi di occuparsi di Andrea. «Lo tenga occupato fino a quando non ritorno, voglio essere io a informarlo dell’accaduto. Non deve uscire o parlare con chicchessia. Non deve sapere che gli hanno ucciso anche il fratello!» «Torno subito, mi attenda qui,» esortai, con tono perentorio verso il mio sfortunato ospite. Per tutta risposta, mi bloccò il braccio con forza e replicò al mio invito, alzando la voce: «Cosa è successo a mio fratello? Me lo dica subito... la prego.» Mi liberai dalla presa, cercando d’inventare, sul momento, una risposta plausibile alla sua legittima domanda. Alla fine, improvvisai con una delle più banali. «Adesso non posso parlare, deve aspettare, mi scusi.» Approfittai del momento di pausa tempo, che precede la replica dell’interlocutore, a me favorevole, per uscire rapidamente dall’ufficio. Infilai le scale e scesi fino all’archivio. Trovai Nardi, gli spiegai cosa era accaduto, che avevo bisogno del suo aiuto e che saremmo andati insieme all’hotel Antica Regina. Ci dirigemmo subito al parcheggio e salimmo sull’auto di servizio. Accesi la sirena, mentre Nardi, alla guida del mezzo, si diresse rapidamente verso il luogo del delitto, che si trovava a solo pochi minuti di strada dalla Questura. Entrammo dall’ingresso del giardino dell’albergo. Era impossibile non notare quanto fosse silenzioso ed elegante quel luogo rinascimentale. Un delizioso chiostro contornava il piccolo giardino e da qui si entrava nella hall. L’impiegato si affrettò a condurci alla stanza 101, che si trovava al primo piano. Appariva spaventato e desideroso di lasciarci al più presto. Infatti, si defilò in gran fretta, salutando. La porta era stata richiusa, evitando che qualche cliente dell’albergo, casualmente, potesse vedere la tremenda scena che si aprì, poco dopo, davanti ai nostri occhi. L’ispettore Nardi aprì lentamente la porta e: «Dannazione! Ma cosa..?» Imprecò, trattenendo a stento un conato di vomito. Mi fece segno di entrare, agitando la mano e allora fui costretto anch’io a guardare all’interno della lussuosa stanza d’albergo. Il mio primo pensiero fu quello che non avrei vissuto mai abbastanza per riuscire a dimenticare una scena simile. Avevo avuto visione di simili nefandezze solo in certi brutti film dell’orrore e letto di queste atrocità in tremendi racconti di guerre tra turchi e cristiani. Il povero Carlo era stato impalato! Come palo, erano stati usati gli appuntiti lunghi laterali, fissati alla base delle testate dei letti. Questi ferri erano indipendenti dalle spalliere artigianali in ferro battuto. L’assassino aveva unito i due letti singoli creando, di fatto, nel punto di contatto delle due lance, un unico palo su cui aveva fatto scorrere il corpo, infilandolo dall’alto. Carlo non aveva nessun tipo di bavaglio o straccio infilato nella bocca; quindi, era sicuramente stato ucciso prima della macabra messa in scena. 



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Ascoltiamo e leggiamo insieme il 4°- 5°- 6° brano dal mio giallo "La nemesi dell'Aquila", ambientato nella splendida Ferrara.