Brano dieci_ La nemesi dell'Aquila
Non appena avrò qualche novità ti farò sapere, nel frattempo segui l’andamento delle indagini. Dobbiamo sapere quando e se intervenire.» L’uomo concluse con queste ultime parole, chiudendo definitivamente il contatto telefonico.
CAPITOLO QUATTRO
Ufficio Squadra Anticrimine (Fe)
Ore 10:40 sabato 17 maggio 2014
Seduto alla mia scrivania, svolgevo compiti di ordinaria amministrazione da più di un’ora. Stavo aspettando l’esperto che Alessia aveva selezionato in una cerchia di cinque ottimi candidati. Mi fidavo ciecamente del suo giudizio. Il professor Lombardi aveva accettato l’incontro e l’invito in ufficio. Fiducioso, pensavo che con questo esperto avremmo potuto confermare le utili indicazioni di Emma e della Marini in merito al linguaggio del killer e alla discendenza del Camponeschi. Insieme avremmo inoltre analizzato i documenti trovati in casa Maggi. Una voce roca, importante, ruppe il silenzio della stanza e le mie considerazioni: «Sono in anticipo, mi dovete perdonare, ma sono riuscito a liberarmi in fretta.» «Meno male, meglio così. Il professor Lombardi, immagino, prego si accomodi,» risposi prontamente. «Anche Samuele, ci sta a fagiolo, mi può chiamare così, d’ora in avanti. Le è sicuramente permesso. Il dottor Ferrari, vero? Sto leggendo la targhetta sulla sua scrivania, spero di non aver fatto una gaffe,» esordì simpaticamente il mio ospite. «No, tutto bene e sperando di passare molte ore insieme, da questo momento vale anche per lei la regola “solo il nome”. “Dottor Ferrari”, dopo un po’, diventa pesante da digerire, quindi per lei sono solo Leone. In questo modo saltiamo tutti i convenevoli e ci mettiamo subito al lavoro!» La prima impressione era stata ottima. Ero molto favorevole a lavorare con questo empatico professore universitario. Ero pronto a scommettere che anche i suoi allievi avessero un ottimo rapporto con lui. Ora la mia attenzione si sarebbe spostata. Non volevo più essere attratto dalla sua cordialità, bensì dalla sua capacità professionale. Iniziai esponendogli le due indicazioni storiche avute dalle mie due consulenti occasionali. Gli sottoposi quindi la relazione di Alessia sul linguaggio e la ricerca di mia moglie su papa Paolo IV. Avuto il benestare e la conferma da un esperto su queste due indicazioni, gli sottoposi il documento composto di due fogli trovato a casa di Maggi. La sua reazione, alla vista dell’antico scritto e alla sua lettura, fu di enorme stupore, talmente grande da non riuscire a trattenere un moto di contentezza, seguito da una leggera imprecazione che emise quasi senza volerlo. «Mi deve scusare Leone, ma non pensavo di trovarmi di fronte a una rarità simile. Sapevo bene della visita di Nostradamus a Ferrara, sapevo della predizione fatta ad Alfonso II per la nascita di un figlio che non voleva arrivare, sapevo anche delle cure richieste al profeta, inutili e senza risultati.» «Tutto per evitare che la Chiesa si prendesse il ducato, ma certo non mi aspettavo una prova documentata così importante. Si tratta sicuramente di una copia dell’originale del trattato tra le parti. Però questa copia garantisce che da qualche parte potremmo trovare tutti e tre i fogli timbrati e firmati e soddisfare così le nostre curiosità: su cosa ci fosse scritto nel foglio mancante e cosa avesse consegnato Alfonso II d’Este a Nostradamus.» Sempre più infervorato, continuò a spiegarci i vari passaggi che avremmo dovuto compiere per ritrovare il foglio scomparso. «Questo genere di documenti, di solito, sono reperibili presso lo studio delle fonti documentarie sedimentate dell’archivio segreto estense. Sono conservate presso l’Archivio di Stato di Modena. Qualche riferimento potrebbe essere anche presente presso la biblioteca estense universitaria. «Data la quantità elevata di questo tipo di documenti, dovremmo comunque restringere il campo d’indagine e tentare di circoscriverlo, privilegiando l’arco temporale compreso tra il 1530 e il 1570.» «Oppure, molto più semplicemente catturare il Maggi e fargli dire tutto quello che sa,» replicai ironico. «In previsione del nostro incontro, aiutato dalle informazioni gentilmente ricevute dall’ispettrice Marini, mi sono documentato su quello che, probabilmente, è stato il suo famoso antenato,» riprese a raccontare il professore. Poi, lentamente, mi porse un foglio, scritto di suo pugno. Una vecchia e sana abitudine, ormai considerata obsoleta dai più. Iniziai a leggere il testo in bella calligrafia del professore, in modo che sentisse anche Alessia. «Vincenzo Maggi ottenne la cattedra di filosofia a Padova nel 1533. Fu membro dal 1540 dell’Accademia degli Infiammati. Frequentò insigni estimatori di Erasmo da Rotterdam, che venne accusato di essere un eretico e un fomentatore della Riforma protestante, dal cardinale Aleandro. Riuscì poi a incontrare Erasmo in Germania. Frequentò diversi circoli culturali, alcuni dei quali erano molto più simili a vere sette che a raduni letterari. Nel 1543 Maggi lasciò Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d’Este come precettore del figlio Alfonso e come insegnante di filosofia all’Università di Ferrara.» Alzai il capo verso il professore, alla fine dello scritto. Lombardi iniziò a spiegare dal punto in cui mi ero interrotto: «A lui si devono diversi trattati e scritture amanuensi, nel periodo che abbiamo preso in esame. La sua lunga appartenenza a sette segrete e a presunte congreghe di natura eretica potrebbe portare a pensare che questi delitti possano avere una antica matrice di origine inquisitoria. Potrebbe essere realistico pensare di essere di fronte allo stesso modus operandi dei feroci inquisitori del XVI secolo. Infatti, documentandomi sulle informazioni che lei aveva avuto da sua moglie, risulta che Camponeschi era il cognome della madre di Paolo IV e a lui si devono condanne esemplari, proprio agli eretici.» Avevo preparato, sulla scrivania, la cartella rilasciata dalla scientifica sui due omicidi, desiderando proprio discuterne con Lombardi. Gliela porsi e subito l’aprì, incuriosito, con un rapido gesto della mano. Lesse per qualche decina di secondi. Inarcò le folte sopracciglia, sorridendo compiaciuto di poter dimostrare con i fatti le sue teorie. «Vede, avevo ragione, il nostro assassino prende esempio dal modo in cui venivano uccisi, per stregoneria, uomini e donne. Sulla prima vittima, leggendo quello che si vede scritto qui, sono state usate due tecniche di tortura piuttosto comuni in quel periodo nefasto. “La strappata” ed “Il rogo”. La prima consisteva nel legare l’accusato a una fune e issarlo su una sorta di carrucola. L’esecutore faceva il resto tirando e lasciando di colpo la corda e slogando, così, le articolazioni. La seconda, riservata in modo particolare agli eretici, era, di solito, una manifestazione pubblica, e il condannato veniva bruciato, dopo giorni di digiuno e prediche. Oppure, poteva essere un’esecuzione privata. Il malcapitato veniva legato e torturato, vedi l’asportazione dei testicoli come nel nostro caso. Quindi veniva versato l’olio bollente o il catrame. La seconda vittima, il figlio Carlo, da quello che leggo, ha subito invece quello che veniva chiamato “L’impalamento”, una delle più rivoltanti e vergognose torture concepite dalla mente umana. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo, inserito nel retto della presunta strega, forzato a passare lungo il corpo, per fuoriuscire dalla testa o dalla gola. Come vede, concludendo, non ci possono essere dubbi, si tratta di una copia e incolla di pratiche usate dall’inquisizione.»
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