Brano venticinque_ La nemesi dell'Aquila
CLICCA PER ASCOLTARE IL VENTICINQUESIMO BRANO
TRATTO DAL LIBRO
"LA NEMESI DELL'AQUILA"
CAPITOLO OTTO
Piazzale antistante il Duomo di Ferrara Ore 19:03 mercoledì 28 maggio 2014
Lombardi si presentò puntuale, come sempre, ma visibilmente accaldato. La giornata era stata particolarmente afosa. Certo non ci si poteva stupire della temperatura, essendo arrivati ormai alla fine di uno splendido maggio. Il sudore imperlava la fronte del mio amico, poi guardandomi con aria truce sbottò, in modo irriverente, nei confronti del comune di Ferrara o di chi per loro. «Avrei fatto il parcheggio per le auto un po’ più lontano dal centro storico, accidenti a loro, cosa avrò percorso, due chilometri?» Chiese, decisamente nervoso per il gran caldo. «Esagerato!» Dissi sorridendo. «Il problema non sono le distanze, ma la pancia caro prof, poi, addirittura la giacca, in una giornata come questa! Trascinare un trolley pesantissimo, con questa temperatura africana, per forza sei tutto sudato. Coraggio, continuai, ho prenotato in un albergo qua vicino, nel cuore della città. Ancora pochi passi e potrai fare una bella doccia rinfrescante e cambiarti per la cena. Ti aspetterò nella hall e poi andremo a mangiare e a parlare tranquilli in un ottimo ristorante.» «Grazie Leo, ho tante cose importanti da dirti, questa sera a tavola. Dovremo lavorare parecchio, nei prossimi giorni.» Questa promessa non mi rendeva così felice, mentre aspettavo Samuele, nell’ampia sala dell’hotel. L’antica porta, che dava alla sala del ristorante, si aprì dolcemente. Un solerte cameriere ci invitò a entrare, accogliendo con un cortese: «Benvenuti, prego, accomodatevi,» continuando con la rituale domanda: «Avete prenotato? Se sì a che nome, per cortesia?» «Ferrari, tavolo per due, grazie.» «Sì, la stavamo aspettando,» confermò prontamente. L’uomo gentilmente ci fece accomodare in un tavolo già preparato, in una saletta appartata, che avevo espressamente richiesto, per poter parlare in libertà. Una volta seduti comodamente, apprezzai e valutai positivamente l’elegante mise en place, la bellezza del locale e la professionalità del personale. Non riuscimmo a iniziare a parlare, di quello che ci interessava perché, come un fulmine, arrivò una bella signora, elegantemente vestita, con il menù. Sapevo già cosa ordinare, non era la prima volta che andavo in quel locale. Consigliai, senza paura di sbagliare, al mio ospite, quali fossero i piatti migliori dello chef e i miei preferiti. Li ordinammo, congedammo il maître e finalmente esauriti convenevoli e congetture varie, iniziammo a parlare del nostro caso. Per prima cosa, iniziai scusandomi con Samuele per lo spavento che aveva subito e per i danni provocati alla sua abitazione, tutto per aver aderito al mio pericoloso piano, concepito per far uscire allo scoperto la misteriosa talpa. In fondo, l’avevo quasi costretto ad accettare questa soluzione, come l’unica in grado di completare le nostre ricerche. Aveva accettato il rischio a malincuore, non essendo mai stato abituato a conviverci. In vita sua, aveva sempre cercato di sfuggire ai pericoli. La sua carriera universitaria, per altro rilevante e significativa, testimonia una precisa scelta di vita, tranquilla e dedicata principalmente allo studio e alla ricerca, non certo all’azione o al sotterfugio. Chiarito, ma di certo non archiviato completamente, il poco riuscito coinvolgimento del Lombardi, iniziai a chiedergli di dirmi tutto quello che aveva scoperto. «Ho diverse informazioni da riferirti, alcune di queste sono decisamente importanti. La prima, in ordine di tempo, riguarda il passaparola che, qualche giorno addietro, avevo chiesto di iniziare tra alcuni dei miei colleghi dell’università, esperti di storia ecclesiastica.
«Informai di essere interessato, per una ricerca personale, ad alcune informazioni e scritti riguardanti la Santa Inquisizione, nel periodo compreso tra i due papati, quello di Paolo IV e quello di Pio V, chiedendo, in particolare, l'influenza avuta sulle chiese di Padova e Ferrara coinvolte. «L’esito di questa mia iniziativa non tardò a farsi attendere. Infatti, il giorno dopo mi telefonò Augusto, un caro amico, compagno di scuola alle superiori e grande esperto del cattolicesimo. L’anno scorso condusse un’importante ricerca per la Diocesi di Padova e successivamente anche per quella di Ferrara. «Per il suo lavoro fu fondamentale l’incontro avuto nella città estense con un anziano frate domenicano. Tebaldino Querini era il suo nome e abitava vicino alla chiesa di San Domenico, o meglio, in una viuzza appena dietro essa, la prima porta a destra quando si entra nella stradina che costeggia la stessa basilica. «Mi ha parlato di un arzillo vecchietto di 86 anni, forse già 87, dotato di una memoria prodigiosa e in possesso di incartamenti, talmente rari, che, forse, nemmeno gli archivi di Stato riescono ad avere. Il mio confidente è sicuro che Querini possa darci importanti informazioni.» «Domani mattina sarà la nostra prima tappa,» approvai, condividendo il programma di Samuele. «La seconda cosa riguarda un elenco di vittime dell’Inquisizione, nel periodo che avevo indicato ai miei colleghi.» «Questa lista delle persone, coinvolte o uccise nella caccia alle streghe, sarà sicuramente utile. Potremo collegare questi antichi nomi con quelli presenti oggi. Potremo, anche, individuare persone sospette dai cognomi degli ascendenti perseguitati,» dissi fiducioso. «Certamente, è sicuro!» Confermò il professore. «Spero facciano in fretta a mandarmi l’e-mail con la preziosa lista. Adesso, vorrei tornare a parlarti di quel Villanova, che sembra aver avuto accesso al manoscritto maleficus, averlo letto e successivamente averlo sottratto alle grinfie dell’Inquisizione, senza riuscire, però, a salvare il suo amico, Pietro d’Abano, che venne giustiziato. «Avrebbe poi conservato questo importante documento per servirsene, in un futuro momento di difficoltà. Potrebbe averne parlato, in seguito, al signore di Sardegna, Branca Doria, di cui era il medico. Branca era un astuto e temuto politico di parte ghibellina, a cui avrebbe fatto sicuramente comodo uno scritto che avrebbe potuto usare, come una chiave diplomatica, contro i nemici Guelfi e il papato. L’ipotesi che il manoscritto fosse arrivato nelle mani del Doria era compatibile anche con l’avversione, nei suoi confronti, mai sopita e manifestata più volte, anche per iscritto, del Sommo Poeta. «Dante e il Doria s’incontrarono in diverse occasioni, forse, proprio per la restituzione del prezioso documento, che il Branca aveva ricevuto dal Villanova. L’astio, nei confronti del signore ligure, si ritroverà nel canto XXXIII dell’Inferno, dove Dante lo inserì nei «Traditori degli ospiti.» «Quindi il Poeta rimase a mani vuote?»
Cercando una conferma a quello che avevo inteso nelle parole del professore. «Esatto, l’unico modo affinché il documento potesse arrivare alla corte degli estensi, come sappiamo essere poi accaduto, era che rimanesse in possesso del Branca e che successivamente lo potesse lasciare in eredità alla nipote, Valentina Doria, che lui aveva fatto sposare con il signore di Milano, tale Stefano Visconti. «Così, lo scritto fu conservato nella biblioteca di Pavia, dove i visconti avevano tutti gli archivi storici. Il passaggio del manoscritto alla corte di Ferrara potrebbe essere avvenuto, pare, con un colpo di mano eseguito da sgherri al soldo degli estensi, trafugandolo durante le nozze di Beatrice d’Este e Ludovico il Moro nel 1491.
Commenti
Posta un commento